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Dall'Arte all'Uomo
Se dovessimo prendere come chiave di lettura per una mostra o per valutare l'opera di un artista, il rapporto tra l'opera e la realtà (da cui nasce o con cui si confronta) senz'altro dobbiamo considerare come formalmente l'autore intende indirizzare coscientemente questo rapporto, ma al di là delle sue esplicite intenzioni, l'opera realizzata può presentare due sostanziali modalità e atteggiamenti più o meno coscienti e intenzionali nei confronti della realtà su cui intende rapportarsi.
L'opera può essere intesa come intervento nel Reale - quando essa intende modificare o intervenire nelle percezioni, nelle sensazioni e nelle "concezioni" di vita, oppure come ricerca nel Reale - quando essa intende comprendere, visualizzare e interpretare la condizione esistenziale, i "fenomeni", l'essere-nel-mondo. Significa che può esserci in modo più o meno palese, una intenzione di intervento o di analisi verso ciò che si rappresenta, un desiderio di fare dell'opera uno strumento per modificare o approfondire la percezione di ciò che viene rappresentato. Nell'attività critica e nella fruizione da parte del pubblico, è importante prendere sotto esame questi due aspetti, queste due "intenzioni" esplicite o implicite del fare artistico, perché attraverso esse è possibile sia approfondire la conoscenza e la comprensione delle opere, così come il rapporto che l'artista ha inteso avere con il proprio tempo. La presenza o l'assenza di queste qualità nell'opera d'arte suggeriscono preziose riflessioni su un modo di concepire la propria attività e sulla possibilità che l'arte torni ad avere un ruolo nella realtà stessa da cui è nata e a cui rimanda. Provare a leggere le espressioni artistiche attraverso queste modalità può permettere di capire quanto esse dicano (o non dicano) di noi e del nostro esistente e soprattutto questa chiave interpretativa può condurci a riflettere su una questione cruciale del rapporto tra creatività e società: che senso può avere oggi, nel nostro contesto sociale e culturale una mostra di "arti figurative", o per estensione, quale ruolo sociale, quale contributo può ancora fornire l'attività artistica alla crescita culturale e morale della società che la manifesta. Per poter condurre questo tipo di riflessioni, ma comunque per avere un rapporto attento e cosciente con le manifestazioni artistiche, è importante accettare di riflettere attentamente su ciò che si vede, di "perdere tempo" con le opere perché se non accettiamo di interrogarle e discutere in noi e tra noi, allora sono in partenza, degli elementi inutili: la possibilità che l'arte ha di incidere nella coscienza dell'individuo (e da lui al contesto sociale dove egli vive), è proporzionale al tempo che l'osservatore dedica a comprenderla e ad interrogarsi; in definitiva l'arte è "attiva" nel tessuto sociale, nella misura in cui i fruitori si dispongono a comprenderla e a rifletterci. Tutto ciò che riduce i tempi di riflessione, tutto ciò che porta a "scorrere" l'opera come se fosse "illustrazione", tutto ciò che impedisce e ostacola il tempo della riflessione costituisce fondamentalmente una forza contraria alla cultura, ai valori, alla definizione e alla sostanza dell'individuo e della società. Se si è portati a valutare una mostra o una rassegna con le regole del mercato pensando a come starebbero certe cose nel nostro salotto è bene astenersi dal frequentare l'arte perché si avrebbe di essa una percezione condizionata da intenzioni non espressive ma commerciali; Se poi cerchiamo di capire le implicazioni vaste del nostro presente prendendo per buoni gli avanguardismi d'effetto, il trucido voyeurismo, le "tendenze" suggerite da questa o quella rivista, significa che affidiamo la nostra idea del reale a progetti espressivi che nascono esclusivamente dalla necessità di piazzare nel mercato un prodotto momentaneamente vendibile. Anche se essi sono fenomeni reali, la loro radice è spesso in ambienti e in esperienze esistenziali circoscritte ad ambienti socio culturali autoreferenti che rappresentano spesso, solo se stessi e non è detto che essi siano specchio di una condizione esistenziale, sociale, umana reale e condivisa. Il problema è vedere in quali contesti e in che misura una produzione artistica affonda le sue radici in una condizione socio culturale caratteristica, condivisa e rappresentativa della stessa realtà in cui noi svolgiamo la nostra esperienza dell'esistenza. Il problema di molta espressione contemporanea é il suo riferirsi ad esperienze elitarie artificiose, dettate molto spesso da una percezione filmico - holliwoodiana o letteraria dell'immaginario e dell'esistente, o comunque alla "spettacolarizzazione" del reale che noi percepiamo dall'immaginario filtrato dai media. Se proviamo a tralasciare ciò che quotidianamente siamo costretti ad essere e ciò che i bombardamenti mediatici ci dicono che siamo e proviamo a compiere quell'atto di attenzione necessaria che si dovrebbe dare sempre alle anime di esseri umani che si raccontano e che esistono attorno alla nostra dimensione, allora troveremo in una mostra qualcosa che può spingerci a ciò che è veramente il senso della cultura: l'interrogativo, l'ascolto, la discussione, la motivazione interiore a vivere e a capire il tempo e lo spazio in cui viviamo e a cui noi "riferiamo". Troveremo delle solitudini, degli spazi interiori, delle idee con cui discutere e confrontarci, il desiderio che questa nostra non sia una realtà grigia e impenetrabile; il desiderio di chiarire e chiarirsi, il desiderio di esserci, di cambiare … e poi anche le delusioni, le angosce, le paure, le gioie … troveremo in definitiva, ciò che noi siamo, esseri umani, con un loro "centro" e con un loro "essere". Per via di un sistema di modellazione dell'immaginario che appartiene alle intenzionalità volpine di un mondo mercantilizio abbiamo nostro malgrado, troppo spesso perso la sensibilità e la percettività, il senso dell'"ascoltare", dell'osservare la dimensione in cui noi estendiamo il nostro essere e il nostro agire. Siamo stati sradicati dal nostro contesto e proiettati in un universo che non ci appartiene, che però siamo portati a percepire come tale perché centrale nella comunicazione e non nell'esperienza. Il centro dell'esperienza è il nostro sistema di relazione esteso e alimentato dalla conoscenza a cui la comunicazione ci porta, ma non è ciò che la comunicazione impone o ciò che essa ritiene "centrale". Intendo dire che la necessità dell'immaginario è quella di liberare la sua dipendenza dalla sudditanza degli "enunciatori" e che ciò sia sostanzialmente possibile solo radicando se stessi nella propria reale esperienza, sia pur con la coscienza e conoscenza di quanto altrove c'è e di come "l'altrove" si relazioni al nostro universo di interessi e relazioni. Restando anestetizzati da immagini finalizzate a modellare le nostre stesse aspettative comportamentali, abbiamo finito per separare ciò che crediamo, ciò che desideriamo nell'anima, da ciò che guardiamo e da ciò che viviamo. Le mostre d'arte restano comunque dei luoghi preziosi dove andare a riconfrontare il proprio universo interpretativo - esistenziale con quello di altri; che siano o no distanti dalle imposizioni mercantili dei circuiti sono comunque degli inviti a tornare al centro di sé, per ricominciare a dare senso all'"altro da sé , alle scelte, al comportamento, con le quali ogni giorno dovremmo testimoniare la qualità del nostro essere - nel - mondo.
Theorèin - Aprile 2004
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